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Gli U2 e il loro “Song of Experience”: un album come si deve!

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Gli U2 hanno scritto la storia e continuano a farla…

Il nuovo album degli U2 è un ritorno prepotente nella scena discografica mondiale. Oggi gli U2 potrebbero sedersi sul divano e continuare ad organizzare tour senza esporsi con album inediti: sono sul tetto più alto e guardano gli altri da lassù, ma continuano a creare, ad essere fedeli a se stessi senza perdere mai quella originalità che li ha resi unici.

E oggi gli U2 si presentano con un album variegato e che rispecchia pienamente chi sono oggi musicalmente. “Song of Experience” è un viaggio vero e proprio con tanti alti e pochi bassi. Certo, da premettere che il rock ormai è al capolinea e infatti questo è un album dai suoni internazionali, più pacati, oppure si potrebbe dire: un album in stile U2 dell’ultimo decennio. Quindi, tante ballate che sanno già di capolavoro, qualche tocco di rock ma relegato a brani più da comprimari che da veri protagonisti.

L’inizio è lento, intimo, quasi una traccia che porta l’ascoltatore nel mondo U2. Poi arriva “Lights of Home”, l’esempio maggiore di come siano cambiate le sonorità del gruppo irlandese passando da un approccio rock d’assalto a sonorità pop-rock, ma ormai questo avviene da più di un decennio. La canzone regge bene, sostenuta anche da un ritornello che inchioda l’ascoltatore nell’atmosfera unica nel suo genere.

Sì, perché ormai gli U2 non sono più rock, nel vero senso del termine, ma non sono neanche pop; gli U2 fanno un genere a parte, il genere U2. E allora ecco che “You’re the best thing about me”, diventa una sorta di inno del nuovo decennio, una sorta di mix tra leggero rock e pop moderno ma con quei riflessi che solo gli U2 riescono a mettere dentro. Singolo trascinante, sognante.

“Get out of your own way” è la perfetta prosecuzione sia nell’ordine dell’album, sia nella scelta di farla uscire come secondo singolo. Il basso detta il passo e la voce di Bono si fa leggera, a tratti poetica per poi esplodere in quell’inciso già entrato nel cuore dei fans, e sì, già entrato prepotentemente nelle radio italiane.

“American soul” è un tentativo di ritorno al rock più duro, ma proprio quando gli U2 scelgono questo tipo di strada non riescono ad essere graffianti come nei brani rock storici. Segno che le loro sonorità son cambiate, ecco perché a mio avviso è meglio proseguire su quello che musicalmente sono gli U2 oggi piuttosto che provare ritorni al passato.

“Summer love” è un mid-tempo che riporta la band su livelli alti. Canzone molto radiofonica, elegante, che si presta molto ad un’intimità musicale che viene dettata dalla ritmica delle strofe che sono come un’altalena delicata. Alcuni lamentano il fatto che non ci sia un cambio di ritmo deciso, e in effetti è così ma proprio per questo, a mio avviso, la canzone sorprende e regala un’atmosfera unica.

“Red Flag Day”: ricordate quando scrissi che i tentativi di ritorno al passato sono da eliminare? Ecco, con questo brano mi rimangio tutto. E’ palese il richiamo al rock che fu, ma questa volta gli U2 ci stanno dentro, creando un brano delicatamente rock ma dalla grande ritmica e dalla travolgente melodia. Uno dei brani più belli, da cantare a squarciagola, in macchina, allo stadio, da portarsi nel cuore in varie situazioni.

“The Showman” è un’esperimento a tratti troppo beatlesiano che stona un po’ con il resto dell’album. Sia chiaro, la canzone non è da buttare, ma in questo contesto fatica a farsi valere. Un singolo da amare oppure odiare.

“The little things that give  your away”, ecco, chiudete tutto, prendete una cuffia, isolatevi dal mondo circostante, chiudete gli occhi e lasciatevi andare. Un capolavoro immenso, un brano che diventerà storia, che ti scuote letteralmente. Se qualcuno non ritrova più gli U2 di una volta, bé, questo brano fa capire come loro non siano andati mai via ma abbiano solo continuato il loro percorso cambiando, come tutti. Chapeau ad una canzone alla U2. Ho detto “alla U2”, non pop!!

“Landlady” è un altro delicato mid-tempo che rischia di diventare un must nella discografia U2. Leggera chitarra elettrica ad accompagnare le prime strofe; la voce di Bono è una carezza mentre la musica avvolge, ti riporta in una dimensione parallela dove nulla è più un problema. Ancora una volta ci siamo.

“The Blackout” è pronta per far esplodere i fans nei concerti, potente quanto basta per far saltare uno stadio stracolmo o un palazzetto pieno di energia positiva. La canzone, opinione personale, non mi convince del tutto, ma ancora una volta gli U2 mi mettono in difficoltà. Sì, perché anche quando il brano non mi esalta capisco veramente che non lo butterei proprio via: è quella via di mezzo dove la band riesce a navigare senza perdere mai la faccia.

“Love is bigger than anything in its way” è un tormentone vero e proprio, perfetto come prossimo singolo. Creato ad hoc per le radio, per scalare le classifiche di tutto il mondo, un mid-tempo che è un equilibrio perfetto fra canzone orecchiabile e stile personale inconfondibile.

A chiudere tutto una version minimal: “There is a light”. Qua si punta tutto sulla vocalità mostruosa di Bono capace di cambiare una canzone anche se l’hai sentita in precedenza. Sempre diverso, sempre portando nella sua voce… un’emozione tutta da vivere.

Dare un giudizio finale è quanto di più difficile possa esserci. Forse i fans storici storceranno il naso perché di rock c’è veramente ben poco, ma un critico musicale deve guardare la totalità del lavoro discografico, e oggi come oggi, gli U2, sono ancora i migliori sulla piazza. Certo, la piazza è quella del pop internazionale, ma loro sono già oltre, loro hanno un genere che nessuno può vantare di fare: il “Genere U2”. E questo disco… è da 8 pieno!!

Davide Beltrano IlFolle

Voto: 8

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